Luca De Biase affronta il tema della nostra, e altrui presenza in Afghanistan e Iraq e pone le domande di fondo:
Che cosa portiamo dunque? Un'idea di convivenza nella quale, appunto non vincono le bande più forti e aggressive, ma vince una legge che tutti rispettano per rispetto a tutti. Facciamoci un esame di coscienza: siamo lì per prenderci una fetta di commesse per oleodotti o per lucrare su una fetta di mercato dell'oppio? o siamo lì per garantire al mondo che le persone democratiche e pacifiche possano vivere al sicuro dai mafiosi? oppure siamo lì perché davvero pensiamo che in questo modo difendiamo il nostro modo di vivere dall'aggressività dei terroristi? o tutte e tre le cose?
Lo spunto della riflessione gli nasce dalle dichiarazione all’Espresso del mullah Abdul Salam Zaeef:
Chiede l'intervistatrice: "Le truppe italiane fanno molte cose per lo
sviluppo e la ricostruzione nella zona di Herat affidata al loro
controllo. E non uccidono nessuno". Ed ecco la risposta: "Voi stranieri
cercate di rendere tutto sempre molto semplice. Non dico che gli
italiani abbiano mai fatto nulla di male. Ma mettetevi nei nostri
panni: gli americani, vostri alleati, ci uccidono in continuazione.
Immaginate di avere un fratello morto e una casa appena costruita dagli
stranieri: secondo voi cos'è più importante? Direi mio fratello ucciso.
Dobbiamo forse dimenticare i nostri morti e gioire per le nuove scuole?
Possiamo anche studiare tra le rovine". Come dire: l'economia della
felicità è più importante dell'economia della moneta.
D'accordo sulla domanda di fondo: cosa ci stiamo a fare.
Allora distinguerei le due situazioni: Afganistan e Iraq.
Nel primo caso siamo andati lì a combattere i terroristi di Al Quaeda,
con mandato ONU e NATO dopo un'aggressione a freddo, terribile, l'11/9,
che era il punto di approdo di una strategia di annientamento o
sottomissione, tipica dell'integralismo estremista di Bin Laden. E lì
dobbiamo restare, per impedire il trionfo di quella strategia, la
sconfitta sarebbe quella dell’ONU, non della Nato o degli Usa. E’
giusta la proposta della conferenza di pace, anche con il nemico non
terrorista, non tutti i Pastùn lo sono.
E’ sbagliato, a mio parere, starci a metà, se è giusto sconfiggere il
terrorismo si deve combatterlo. Semmai il problema è discutere le
strategie e non subire supinamente l’imposizione Usa.
Un dettaglio: con buona pace di Strada, Karzai fino a prova contraria,
è il presidente eletto legittimamente di quel Paese; cosa mai accaduta
prima.
In Iraq invece si è messa in piedi un'impresa sciagurata, decisa
dall'unilateralismo di Bush. Lo sceicco citato dimentica però che non
uccidono solo gli americani, ma anche sciiti e sunniti, e fanno più
vittime. E questo forse è l'effetto peggiore di questa guerra
insensata. Lì è stato giusto andarsene, e ancora più giusto trattare
con Iran e Siria il futuro della regione.
Una domanda su tutte, però.
Il problema è come rapportarsi all'Islam, quello integralista e quello
moderato. A mio parere questo si può fare se si afferma con forza ciò
che si è, la propria identità. Ma a partire dalla laicità dello stato,
dalle proprie radici, mi pare che non abbiamo le idee chiare. Siamo
stretti tra un laicismo ottocentesco e un integralismo del vaticano che
fa leva sullo scarso (a mio parere) senso dello stato di molti
parlamentari cattolici della maggioranza e dell’opposizione. Tra
l’intolleranza becera della Lega verso gli extracomunitari, e un
buonismo ideologico ma impotente della sinistra.
Entrambi rifiutano di entrare in relazione (che è confronto, ma anche affermazione di identità) con l’Altro.
Dietro tutto questo, per quanto mi riguarda e interessa, c’è
l’incapacità della sinistra (tutta), di mettere in discussione se
stessa: è caduto il muro, l’economia mondiale è stata stravolta, la
realtà muta sotto i nostri occhi a velocità crescente. Nella sinistra
(e nel centro sinistra) c’è tutto e il contrario di tutto, e in quasi
vent’anni il PCI è riuscito a frammentarsi in almeno 4 occasioni, e
mai, mai, c’è stato un momento di riflessione critica a fondo sulla
propria storia e le proprie radici: sulla lotta di classe, sulla pace e
sulla guerra, sull'economia della felicità, sui valori e gli ideali di giustizia e libertà oggi.
Per cui la discussione sul partito democratico (o quello che emerge
sulla stampa) si riduce alle percentuali, sullo riferimento ai
socialisti europei o meno. Ahimé
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