Ci sono vittime anche da noi - si fa per dire - per via dei fatti in Iran. Due ricercatrici piemontesi raccontano del mancato viaggio, e aggiungono uno sguardo su lì, da qua.
Quelle che… abbiam perso la Persia
La divagatrice e la neuroscienziata alla fine si sono messe d’accordo. Fatti annusare ai topi tutti i profumi e chiusi tutti i progetti in scadenza una mattina di qualche tempo fa, nell’ufficio della neuroscienziata, hanno comprato i biglietti e iniziato la procedura per avere il visto. Chiedi a questo, chiedi a quello, versa 30 euro a quest’agenzia e versane 60 a quell’altra. Poco dopo è iniziata la raccolta di cose strambe dagli amici: la cintura salvasoldi, il camicione nero sformato che aveva comprato l’amica quella volta che si sentiva un mostro e la sciarpina nera da mettere in testa ma vedi di portarla indiero che ci tengo.
I genitori alla fine si erano anche convinti. Il babbo della divagatrice aveva visto Alle Falde del Kilimangiaro e sapeva tutto delle cupole di Isfahan, della tomba di Ciro, delle torri del silenzio di Yadz e la mamma della neuroscienziata, sfogliando la Lonely Planet aveva anche pensato di aggregarsi. Inoltre, Niloofar, l’amica iraniana di Facebook, raccontava di giovani che danzano nelle strade di Teheran, di clima molto positivo e di voglia di mandare a casa Ahmadinejad.
Un sogno.
Poi però è suonata la sveglia delle elezioni a pochi giorni dalla partenza. Vince Ahmadinejad e succede quello che vedete sui giornali. Improvvisamente i cellulari delle due aspiranti viandanti hanno iniziato a squillare senza sosta. Ma siete sceme? Ma la Svizzera non era meglio? Potevi andare a Rimini e trovarti un fidanzato invece che sbatterti lì, no? E la prossima volta che fai, vai in Yemen? No, tu in Iran in mezzo ai selvaggi non ci vai… e via così. E non si può nemmeno dire che son stereotipi, che in fondo è un posto tranquillo, che là è come stare qua, che sono solo esagerazioni, perchè là non è come sare qua, perchè le proteste ci sono davvero, perchè i giornalisti li han mandati via sul serio e le comunicazioni le han bloccate immediatamente.
E quindi, giù di news in continuazione, le twitterate da Teheran in homepage, mannaggia potevo imparare a leggere il farsi, pronto Farnesina? Si certo, possiamo anche non andare, ma è pericoloso? Ah, avvisiamo l’ambasciata, sì…
E quindi, alla fine, dopo giorni e giorni di pensieri, consigli e valutazioni, l’amico storico (nel senso che è un amico da una vita e che, incidentalmente, fa anche lo storico a Teheran) ci ha fatto sapere che là è tutto bloccato: no telefoni, no internet e no trasporti interni. Venite pure, non è pericoloso, ma rischiate di rimanere bloccate a Teheran per due settimane.
E quindi si rimane qua, almeno fino a quando non si sarà stabilizzata la situazione.
In uno dei prossimi post parleremo dell’importanza della comunicazione e dell’esplosione di Twitter (ne stanno parlando in tanti), ma per il momento andiamo a berci una birra riparatoria.