I guasti della legge Bossi-Fini si rilevano soprattutto nel campo dell'education. Le barriere all'ingresso di studenti e ricercatori stranieri sono molteplici e, unitamente alla scarsità di corsi in inglese (e all'impreparazione accademica che diventa opposizione), penalizzano la qualità del brain presente nel Belpaese.
Pochi studenti stranieri, ancor meno donne (stavolta con la complicità di alcuni Paesi del Nord-Europa, preoccupati per infiltrazioni a sfondo sessuale). A peggiorare le cose, una quota sempre maggiore di ricercatori italiani che cercano all'estero occasioni che qui non trovano, col bel risultato di regalare ad altri Paesi il frutto dell'investimento, costoso, per la loro formazione.
Il supplemento La Lettura del Corriere della Sera pubblica una splendida infografica realizzata da Accurat, azienda milanese con radici del Politecnico di Milano.
Di non facile lettura, la tavola interattiva mette in relazione PIL, partecipazione femminile al mercato del lavoro, tasso di disoccupazione, ranking internazionale delle università, ricercatori stranieri e immigrati sul totale della popolazione, rientri dei ricercatori emigrati e emigrati sul totale della popolazione, Paesi di provenienza e destinazione.
Già la posizione dell'Italia sulle ascisse denuncia il basso investimento in R&D sul PIL e la percentuale esigua di ricercatori rispetto alla popolazione. Se si fa caso al rapporto ricercatori stranieri e immigrati si può cogliere l'assenza di politiche legate all'attrazione di talenti (confrontate con Usa, Svizzera, Svezia, e poi via via gli altri paesi Ocse. Deludente la percentuale di occupazione femminile, ridicola la presenza tra i primi 250 atenei del mondo. Anche di questo non si parla in campagna elettorale.
Comments
You can follow this conversation by subscribing to the comment feed for this post.