Uno dei temi che vengono discussi in relazione al declino italiano è quello della fuga di cervelli. La scarsa capacità di assorbire profili professionali di medio alto livello - oltre a una disoccupazione giovanile di dimensioni inusitate a tutti i livelli - è sintomo di un sistema malato, ingessato.
Il precariato o la ricerca di sistemazione fuori dal Paese sono un'alternativa mortificante. Le cronache di questi anni sono piene di storie di giovani che, non trovando prospettive in Italia, sono espartriati e occupano posizioni interessanti e ben retribuite. Per il sistema è un doppio danno: si spendono risorse ingenti per formare porfili qualificati, e poi si "regalano" all'estero, un investimento a perdere; tanto più grave perché in genere si perdono i più intraprendenti, se non i più capaci.
Una testimonianza di questa tendenza si trova nel sito www.cervelliinfuga.com/
Ad aggravare poi lo stallo del Paese è la speculare incapacità di attrarre risorse qualificate dall'esterno, per una serie di motivi più diversi: legislazione inadeguata, quando non palesemente ostile (come la Bossi-Fini), scarsa attenzione di attori essenziali (dalle nostre ambasciate alle università), inadeguatezza dell'offerta formativa (grave carenza di corsi in inglese). Risultato, non attraiamo professionisti, ricercatori e studenti, dall'esterno: non solo brain drain ma anche mancanza di brain circulation.
Ora il fenomeno si sta progressivamente spostando verso il basso: dai laureati ai diplomati.