Per comprendere in tutta la loro portata i fatti di Ferguson, con un'intera città, ma anche pezzi importanti del Paese (New York, Los Angeles), che protestano contro la decisione di non processare un poliziotto accusato di avere ucciso un ragazzo disarmato, è importante leggere l'articolo di Carol Anderson sul Washington Post di oggi.
La tesi della Anderson è che, più importante della protesta dei neri, è la "rabbia bianca" a caratterizzare il momento che gli Usa stanno vivendo; una rabbia che nasce dall'aver subito l'elezione di un nero alla presidenza.
La rabbia binca non è un fatto nuovo, è esplosa dopo la Guerra civile, dopo la Nuova frontiera kennediana con l'ammissione dei neri alle scuole dei bianchi, e dopo il 2008, con l'elezione di Obama: White rage recurs in American history. It exploded after the Civil War, erupted again to undermine the Supreme Court’s Brown v. Board of Education decision and took on its latest incarnation with Barack Obama’s ascent to the White House. For every action of African American advancement, there’s a reaction, a backlash.
E non ha bisogno di invadere le strade, usa le leggi degli Sati del Sud contro il governo federale, le campagne del Tea Party, le decisioni della Corte suprema a maggioranza repubblicana.
La rabbia bianca nasce dal timore del suo essere minoranza nel Paese, dove latinos, neri, immigrati dall'Asia crescono; nasce dal disprezzo e dalla sottovalutazione della grandezza del Sogno Americano, capace di coinvolgere e integrare culture eterogenee.
E' inconsapevole e refrattaria a comprendere che in ciò c'è la più grande difesa contro il pericolo del terrorismo jaidista, la grandezza del Paese e la giustificazione della sua leadership internazionale.
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