Credits: l'immagine l'ha scelta Giulia Del Papa di Fondimpresa
La transizione richiede di ripensare e di adeguare i profili e le competenze necessari a abilitare la transizione. Dalla Community Da di Clienti a partner di Fondimpresa ho recuperato questo post, scritto sul tema.
La missione 5 del Pnrr si occupa di ripensare il complesso di misure attive del lavoro, e cerca di colmare i ritardi che abbiamo rispetto ai nostri partner europei. Tra i ritardi vanno annoverati anche quelli relativi alle competenze e ai titoli in possesso della nostra forza lavoro nel suo complesso.
Un dato esemplificativo di questa situazione è la grande fatica che le imprese fanno a trovare lavoro per sostenere la ripartenza nell’attuale entusiasmante dimensione, fatica dovuta principalmente alla difficoltà nel recuperare sul mercato le competenze di cui le imprese hanno bisogno. Non si sta parlando di competenze a specializzazione spinta, questo è abbastanza fisiologico nel panorama attuale di sviluppo turbolento di nuove tecnologie, in questa fase la carenza di competenze si manifesta a tutti i livelli. Ci troviamo perciò di fronte a una situazione paradossale, caratterizzata da indici di disoccupazione molto pesanti e al tempo stesso voragini di competenze adeguate a colmare una domanda delle imprese, esse stesse in difficoltà a fronte di sviluppi tecnologici che faticano a dominare. La cronica debolezza del nostro sistema formativo, incapace di intercettare il fabbisogno di professionalità espresso dalle imprese, viene così aggravata dalla scarsa cultura della intermediazione professionale nel mercato del lavoro.
Se poi correliamo queste carenze con l’impellente necessità di affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale, c’è da farsi tremare le vene ai polsi. E’ questo il livello della sfida che il Pnrr ha di fronte, e la complessità dell’impresa rende evidente che non basta il semplice stanziamento di risorse, ancorché ingenti.
Occorre mettere mano alla ridefinizione dell’architettura complessiva dei servizi al lavoro, attivando politiche che prevedano un forte coordinamento tra gli attori, Regioni, centri per l'impiego e soggetti privati accreditati. Le strutture pubbliche, ministero del Lavoro, Inps, Inail, Ispettorato e la stessa Anpal devono guidare questo processo mettendo a disposizione i dati complessi che fotografano le criticità: posizioni previdenziali, assistenziali, assicurative e ispettive delle imprese e dei disoccupati. Questo per quanto riguarda l’indirizzo e il governo del mercato del lavoro.
Per completare l’opera è fondamentale affrontare le criticità relative all’istruzione e alla formazione. Diventa cruciale il raccordo tra le misure della Missione 5 quelle della Missione 4 relative all'istruzione e alla ricerca, per evitare un parallelismo che rischia di portare alla dispersione di energia e risorse, nella miglior e delle ipotesi. All’origine del disallineamento formativo c’è l'intero sistema dell'istruzione e della formazione, non solo quella dell'istruzione e formazione professionale. Persiste una forte inadeguatezza di tutti gli ambiti dell'istruzione e della formazione fino a quella terziaria, con la sola eccezione degli Its che però coinvolgono una platea ancora numericamente troppo limitata rispetto a quella di altri Paesi Ue e alle necessità delle imprese.
Il superamento del mismatch che il Pnrr dovrebbe concorrere a superare sta nella capacità di attivare politiche integrate tra Formazione e Lavoro, con uno sguardo attento alle esigenze delle transizioni delle imprese e la capacità di chiarire innanzitutto alle famiglie i percorsi adottabili dai loro figli. Persiste nell’immaginario delle persone una visione della scuola a indirizzo umanistico come promozione sociale che non trova più riscontro nella realtà quotidiana.
L’orientamento si traduce spesso in una ripetizione stanca di stereotipi che nulla hanno a che vedere con le trasformazioni che ha subito il Paese nell’ultimo trentennio, e tantomeno tenta di andare incontro alle esigenze delle due transizioni epocali. L’orientamento non può limitarsi alla collocazione nel secondo anno della secondaria inferiore ma deve accompagnare i giovani nella scelta del passaggio dalla secondaria superiore alle scelte tra università, istruzione superiore (ITS) o inserimento lavorativo, riconsiderando le modalità dell’alternanza scuola lavoro, troppo importante per essere liquidata in modo sbrigativo. La collaborazione tra Istruzione e Lavoro è il presupposto per costruire una reale integrazione di una programmazione dell’offerta formativa coerente con le esigenze del tessuto economico. Il Pnrr prevede l’investimento di 600 Mni nel periodo 2021-2026 per promuovere percorsi duali, per contratti di apprendistato di primo livello, per la realizzazione di un’alternanza scuola-lavoro “rafforzata”. Dall’età di 15 anni l’apprendistato di primo livello consente di avviare un percorso per la qualifica triennale, il diploma professionale, il certificato di specializzazione tecnica superiore (Ifts) e l'anno integrativo che si conclude con l'esame di stato. L’alternanza rafforzata prevede 400 ore annue on the job, il 50% del monte ore annuo di 990.
Il Pnrr prevede anche che il sistema duale possa raccordarsi con il Piano nazionale nuove competenze, promosso da Ministero del Lavoro e Anpal d'intesa con le Regioni, come una delle due linee di intervento per la riforma delle politiche attive e della formazione.
Per finire c’è l’enorme platea degli occupati, in Italia sono circa 13 milioni gli adulti con un livello d’istruzione basso; le stime più recenti valutano che più della metà (si arriva al 53-59% dei 25-64enni) è in possesso di competenze obsolete e necessita di riqualificazione, a seguito dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Vale anche per i possessori di laurea, che devono passare a utilizzare strumenti e metodologie digitali. In Italia il tema della formazione primaria e continua è particolarmente necessario, abbiamo una quota di adulti che partecipa ad attività di istruzione e di formazione tra le più basse a livello internazionale: ci si attesta a un modestissimo 24% contro il 52% della media Ocse, e riguarda in netta prevalenza gli occupati (81%).
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