Nella sua newsletter settimanale Whatever it takes, Federico Fubini rileva alcuni problemi nell'impostazione economica di FdI, soprattutto riguardo al Pnrr. La domanda di fondo è: capire quale di queste due forze prevarrà in un governo di Giorgia Meloni: l'apertura, il mercato, il liberalismo economico, la cultura della concorrenza, del merito e dell'opportunità per chi è fuori dalle corporazioni costituite, insomma il rispetto dei cittadini e del ruolo del privato? Oppure invece la tradizione statalista, corporativa e interventista ormai così radicata in Italia da non essere neanche più percepita come fascista nella sua origine?
Riguardo al Pnrr, il timore di Fubini (e il mio, per quel che vale) è:
Meloni ha detto di voler rinegoziare i contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) appellandosi all'articolo 21 della comunicazione della Commissione europea su Next Generation EU (cioè il Recovery Fund). Quel passaggio prevede la possibilità di modificare un piano nazionale, del tutto o in parte, se esso non è più realizzabile per circostanze oggettive (come la guerra e lo choc sui prezzi del gas). Sospetto che questa richiesta di Meloni - se ci si arriva - farà colare fiumi d'inchiostro ma produrrà differenze trascurabili. Per cambiare il Pnrr l'Italia dovrebbe dimostrare a Bruxelles per quali circostanze oggettive alcuni progetti, descritti uno per uno, sarebbero diventati "inattuabili" (dunque dovrebbe togliere fondi a enti ai quali sono già stati promessi). Dovrebbe poi presentare nuovi progetti in linea con gli obiettivi del Pnrr e delle riforme previste, garantendo che siano realizzati entro il 2026 anche se partono due anni dopo. La sostanza è semplice: si rischia di congelare l'intero Pnrr per almeno quattro mesi di trattative Roma-Bruxelles, accumulando ritardi proprio ora che farebbero molto comodo più investimenti pubblici a sostegno dell'economia, per poi arrivare a un compromesso che salva la faccia a tutti ma cambia poco nel complesso.
A questo aggiungiamo l'idea di rinazionalizzare Ita, di porre limiti agli investimenti esteri, di appoggiare interessi corporativi (taxi e balneari) che promuovono rendite di posizione a danno dei cittadini e della concorrenza.
Questi sono i pericoli reali, molto più seri della nostalgia per un passato che ritorna.
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